Anche la Francia ha cominciato a riflettere sulla fase 2: Vaccino entro il 2020

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    Anche la Francia ha cominciato a riflettere sulla fase 2. E un parere che conta è quello di Jean-François Delfraissy. L’immunologo francese guida il comitato scientifico che consiglia Emmanuel Macron nell’emergenza sanitaria. Delfraissy, 71 anni, è stato un luminare della ricerca sull’Aids, in prima linea contro Ebola. Il suo gruppo di “saggi” comprende anche un’antropologa e un sociologo. “E’ importante avere un approccio multi-disciplinare e valutare parametri non solo scientifici” spiega Delfraissy. “So per esperienza che ogni crisi sanitaria porta con sé il rischio di una crisi politica e sociale”. L’immunologo spiega a Repubblica quali sono le sue raccomandazioni per avviare la fine del lockdown iniziato il 17 marzo. Con un auspicio: “Francia e Italia si devono mettere d’accordo per una serie di misure condivise in questa fase molto delicata. È una delle delle chiavi del successo”.

    Eppure il governo francese ha esitato a lungo prima di seguire l’Italia nella scelta del confinamento. C’era un sentimento di superiorità? 
    “Non mi sono mai sentito superiore all’Italia, non ho lezioni da dare ai miei colleghi italiani, anzi devo riceverne. Personalmente mi sono reso conto dell’estrema gravità dell’epidemia proprio vedendo la situazione in Lombardia dove c’è un’eccellenza medica e scientifica. Ho capito subito che alla Francia sarebbe toccato lo stesso destino. E difatti quando si è insediato il nostro comitato il 10 marzo ho subito detto a Macron che l’unica strada da seguire era il confinamento”.

    Il governo aveva valutato altre opzioni?
    “Delle tergiversazioni della politica non rispondo. Posso invece dire che il mio parere è stato tranchant. E non ne vado fiero perché so quale sacrificio è stato imposto ai cittadini. Se avessimo avuto una capacità giornaliera pari a 100 mila test forse avrei suggerito di agire diversamente. Non era così. Il 10 marzo la capacità della Francia era di 3 mila test al giorno. Il confinamento non era la migliore soluzione. Era la meno peggio”.
    In Germania la quantità di test ha fatto la differenza?
    “E’ così, e tanto meglio per i tedeschi. Oggi in Francia capacità giornaliera di test è salita a 30 mila al giorno. L’obiettivo è arrivare a 100 mila entro la fine del mese. La carenza iniziale ha dettato la scelta del confinamento e pesa ancora nella durata”.
    La vostra raccomandazione era chiudere il Paese fino a fine aprile. Si andrà oltre? 
    “Parleremo di date solo quando avremo gli strumenti per affrontare l’aumento dei contagi e dei malati che ripartirà non appena si allenterà il confinamento. Su questo non ci sono dubbi: l’epidemia ricomincerà a correre. E noi dovremo essere pronti, contrariamente a quello che è successo la prima volta”.
    Si parla di apertura per regioni, età, professioni.. Qual è il piano?
    “E’ il dibattito in corso tra il nostro comitato, il governo e l’Eliseo. Vi posso solo dire che non passeremo dal nero al bianco. Ci saranno sfumature di grigio. Abbiamo fatto il calcolo delle persone più a rischio, tra anziani, cardiopatici, obesi e altre patologie. Sono 17 milioni di francesi. Già questo dato vi fa capire la complessità della situazione”.
    Si comincia invece a sapere quanti sono i francesi immunizzati?
    “Abbiamo i primi studi sierologici e purtroppo non sono incoraggianti. Nelle zone più colpite dall’epidemia vediamo che l’immunità è intorno al 10 per cento. Da quel che so è la stessa cosa in Lombardia. E’ molto meno di quello che ci aspettavamo, e speravamo. Siamo lontanissimi da un’immunità naturale nella popolazione. Ma c’è un altro problema”.
    Quale?
    “Questo virus è davvero particolare. Ci siamo accorti che la durata di vita degli anticorpi protettori contro il Covid-19 è molto breve. E osserviamo sempre più casi di recidiva in persone che hanno già avuto una prima infezione”.
    Quindi nessuno è davvero protetto contro il coronavirus, neppure chi si è già ammalato?
    “Sembra così. E’ per questo che il nostro comitato non raccomanda più la patente immunitaria, una sorta di lasciapassare per chi ha avuto una prima infezione”.
    Quando la Francia sarà pronta per la fase 2?
    “Ci sono due indicatori da guardare. Quando le terapie intensive non saranno più sotto pressione, il personale medico avrà fiatato. E quando avremo la capacità di testare massicciamente, isolando i positivi e tracciandone i contatti. Una previsione, solo teorica, è tra inizio e metà maggio”.
    Il vostro modello è quello coreano? 
    “Sì ma la Corea del Sud non ha fatto solo la tracciabilità sui cellulari. Ha anche mobilitato 20 mila persone che hanno indagato e spezzato le catene di trasmissione. L’innovazione tecnologica deve essere accompagnata da uno sforzo umano”.
    Nessuna riserva sul tracking, la sorveglianza elettronica? 
    “Solo in modo transitorio, su base volontaria e dentro regole precise. La Francia sta lavorando con la Germania su un’applicazione. L’ideale sarebbe allargare la collaborazione ad altri Paesi come l’Italia”.
    La Francia e l’Italia possono fare scelte diverse su tempi e modi sulla fase 2?
    “Sarebbe un disastro. Non lo dico solo al livello sanitario, ma anche per evitare una crisi sociale e politica più grave. Se siamo coordinati sarà molto più facile far accettare misure come il tracking o l’isolamento dei pazienti positivi in strutture ad hoc. I nostri cittadini osservano quello che succede nei Paesi vicini. Non capirebbero misure contraddittorie. Inoltre una certa uniformità è essenziale per ricominciare a viaggiare, lasciare aperte le frontiere”.
    Pensa che al livello europeo si sia data la priorità alla risposta economica?
    “Purtroppo è così, e ne subiamo tutti le conseguenze. Fino a qualche giorno fa i Paesi europei litigavano tra di loro per accaparrarsi le mascherine in Cina. Abbiamo deciso il confinamento senza coordinarci tra Paesi europei. Adesso è indispensabile non ripetere lo stesso errore. E’ il senso del mio appello all’Italia ma anche agli altri Paesi del nucleo fondatore dell’Europa”.
    A proposito di mascherine, perché il governo francese continua a non raccomandare di indossarle?
    “Sia l’Oms che il governo hanno faticato ad ammettere la verità, ovvero che non c’erano mascherine in quantità sufficienti per tutti. Sono convinto che le mascherine siano uno degli strumenti essenziali per uscire dal confinamento”.
    Devono essere obbligatorie?
    “Qualsiasi francese dovrebbe averle e indossare se lo desidera. Oggi non è così”.
    Anche in Francia ci sono polemiche contro i runner o le persone che infrangono le regole. Lei che ne pensa?
    “Il confinamento è rispettato dalla stragrande maggioranza dei francesi. Vedo anche io che non è il cento per cento, ma ricordiamoci che è un equilibrio delicato. La Francia non è la Cina, e ribadisco che le crisi sanitarie portano sempre un rischio politico e sociale da non sottovalutare”.
    Il confinamento ha dato i risultati epidemiologici che si aspettava?
    “Siamo nei tempi che avevamo previsto. A inizio marzo il tasso R0 era di 3,5, oggi è sceso intorno a 1 e pensiamo di calare ancora tra 0,7 e 0,8 a inizio maggio, quando si potrà cominciare a parlare di fine del confinamento. Ma solo se saremo pronti anche su test, tracking digitale e umano, isolamento pazienti, mascherine”.
    L’estate ci aiuterà?
    “Tutte le pandemie dell’ultimo secolo si sono attenuate durante la stagione estiva. Questa volta vediamo che il virus si diffonde anche in zone calde. Quindi prudenza. L’altra cosa che vediamo dalla storia delle epidemie è che bisogna prepararsi a un rimbalzo del virus in autunno”.
    Dobbiamo aspettarci solo cattive sorprese?
    “Sono ottimista per natura. Penso che alla fine l’intelligenza umana vincerà contro il virus. E quando parlo di intelligenza non parlo di noi esperti o della politica, ma dei cittadini che devono impadronirsi di questa sfida, e lo stanno già cominciando a fare. Durante l’emergenza dell’Aids ci sono stati 45 milioni di decessi, ma siamo riusciti a trovare una risposta sia nei paesi sviluppati che in quelli del Sud. Detto questo, qualche buona notizia c’è”.
    Prego?
    “Il virus ha subito solo piccole mutazioni in questi quattro mesi, è abbastanza stabile. E questo aiuta la corsa ai vaccini, inedita per rapidità. Sono convinto che ci sarà un primo vaccino già entro la fine dell’anno. E intanto forse ci saranno novità positive sulle terapie e spero su forme di profilassi”.

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