I 30mila in piazza per l’Inter e l’immunità da scudetto

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    Come possiamo chiedere agli italiani dei sacrifici se ogni volta il calcio, e solo il calcio, passa sopra ogni regola?

    Il calcio, eterna eccezione di questo paese. Al pallone tutto si può concedere e perdonare, perfino trentamila persone in piazza – testa più testa meno – mentre tutta Italia è appesa all’incertezza. In attesa di capire se passo dopo passo questa o quell’attività potranno riaprire davvero, difendendo con le unghie e con i denti quel pezzetto di normalità che abbiamo recuperato. Chissenefrega: se c’è da celebrare senza testa e a squarciagola uno scudetto si diventa tutti magicamente immuni, o tutti negazionisti, o tutti fatalisti. La questione dei “festeggiamenti” dei tifosi dell’Inter per il titolo del Covid colpisce sia la sostanza che la forma.

    Sul primo fronte, sappiamo che perfino nel controllatissimo esperimento del concerto-test a Barcellona con 5mila partecipanti alla fine sono saltati fuori sei positivi. Chissà quanti ce n’erano, inconsapevoli e asintomatici o quasi s’intende, ieri al Duomo o in piazza Cairoli o altrove in tutta Italia a urlarsi in faccia, scambiarsi birre e abbracciarsi senza pudore fra sdrucite mascherine poggia-mento e distanze azzerate. Sul secondo, è una questione di principio e giustizia ormai ineludibile dopo oltre un anno: cosa possiamo chiedere al paese se ogni volta il calcio, e solo il calcio, passa sopra ogni regola?

    Immagine iPa

    Poca l’indignazione, a dirla tutta. E poche le precauzioni delle autorità nelle ore precedenti. Come se il calcio, e quello che gli gira intorno, non si potesse toccare. Sono 14 mesi che parliamo con toni da fine del mondo delle passeggiate e degli aperitivi a via del Corso a Roma o alla Darsena di Milano, mettendo di volta in volta nel mirino con ferocia e disprezzo categorie professionali o anagrafiche, ma ogni volta che accade qualcosa del genere – ed è successo diverse volte – si percepisce la volontà di ridimensionare, di non affondare l’acceleratore, di sottovalutare. Il timore reverenziale per quel pallone a cui ogni italiano è condannato a inchinarsi.

    È accaduto a Napoli, con i maxiassembramenti dopo la morte di Diego Armando Maradona alla fine di novembre. Oppure a La Spezia, dopo la promozione in Serie A dello scorso anno. Ma con che faccia multiamo un ristoratore perché serve un caffè al banco o proibiamo gli eventi privati con elenchi di partecipanti stabiliti giorni prima e tracciabili quando poi consentiamo questa roba? Anche oggi titoli e tenore delle cronache di ieri sono fiacchi e incolori, incapaci di sottolineare quanto questi fatti restringano ancora di più il margine di manovra del governo e abbattano l’adesione delle persone alle più elementari norme di sicurezza.

    Il Corriere della Sera titola per esempio, nel momento in cui scriviamo, sui “party clandestini in abitazioni e B&B”. Individuando immediatamente un nuovo fronte di delazione generalizzata. Parte dai numeri dei controlli del fine settimana, che semmai testimoniano una volta di più la necessità di riaprire secondo i protocolli già presentati luoghi e spazi deputati a questo tipo di appuntamenti, proprio per limitare quelle situazioni. Ed è giusto, così come è giusto segnalare ciò che sfida il rispetto e la sicurezza collettività.

    I festeggiamenti in piazza di ieri, però, sono già passati: arrivano molto dopo, e si spiega che “la polizia ferma le celebrazioni dopo il coprifuoco”. Qualsiasi altro evento o manifestazione spontanea di questo tipo, con una tale partecipazione, sarebbe stata interrotta senza andare troppo per il sottile. Stavolta, e negli altri casi citati, no, ci si è limitati a difendere il difendibile sul coprifuoco: il calcio può permettersi qualsiasi violazione delle norme collettive e perfino sperare in una buona stampa fino a cavarsela con un’archiviazione pressoché immediata di qualsiasi responsabilità. Eppure non dovrebbe essere così, non in tempo di pace tanto meno in quello di guerra: le autorità potevano fare qualcosa di più? La società, oltre al generico e inutile invito sui social, poteva forse muoversi nei giorni scorsi? Che enorme manifestazione di superiorità sarebbe stata una celebrazione il più possibile ordinata, in linea con un anno di lutti e ancora in bilico sui contagi, magari con un appuntamento a San Siro? Inutile domandarselo: dal calcio italiano non ci si può aspettare troppo. Per tutto il resto c’è il tiro alla movida (o al ristoratore, o al runner, o al padrone di cane, o al gestore della palestra a seconda del periodo).

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