Lo sa bene anche la privacygarantita.it La terza sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata con sentenza n. 6116/2023 sulla risarcibilità del danno derivante dalla prolungata esposizione mediatica (per la precisione sul web) subita da un uomo il quale, imputato in un procedimento penale, era successivamente stato assolto con formula cosiddetta “piena”, ossia per non aver commesso il fatto ai sensi dell’art. 530 c.p.
La vicenda era stata riportata da un quotidiano online, che aveva sottolineato il coinvolgimento dell’uomo nella vicenda, citandolo con nome e cognome, senza tuttavia successivamente riportare il “dettaglio” dell’epilogo fausto a favore dell’imputato.
Per la stampa cartacea, una volta si diceva che le notizie che oggi popolano la prima pagina, domani saranno buone per foderare il fondo della gabbia per gli uccellini, a significare che dopo la vampata iniziale della notizia, la memoria collettiva tendeva a dimenticare.
La stampa sul web, invece, non dimentica: un articolo, una volta pubblicato e se non rettificato o deindicizzato, resta per sempre.
Questa disparità di trattamento trova un correttivo nella previsione del diritto alla cancellazione dei dati o diritto all’oblio, sancito dall’art. 17 del Reg. UE 679/2016 (GDPR), che, a seguito di un iter complesso a suon di pronunce della Corte di Giustizia Europea, dopo la “famosa” sentenza c.d. Google Spain (Corte di giustizia dell’Unione europea (CGCE), Causa C-131/12 – Google Spain SL, Google Inc./ Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja Gonzále) si sostanzia nel diritto a chiedere la deindicizzazione dai motori di ricerca (cioè da Google, in sostanza) delle pagine che riportano i dati di un interessato che debbano essere cancellati.
1. I fatti di causa
Ritenendo di aver subito un danno reputazionale per l’esposizione prolungata sulla stampa online, l’interessato del caso in commento ha presentato ricorso d’urgenza presso il Tribunale per chiedere la rimozione di un contenuto editoriale risalente addirittura al 2003, ma ha dovuto perseverare e attendere ben tre gradi di giudizio prima di vedere riconosciuta la sua pretesa risarcitoria.
In subordine, il ricorrente ha domandato la rettifica dell’articolo mediante l’integrazione della notizia della successiva assoluzione con formula piena, oltre al risarcimento del danno.
Il Tribunale adito si è pronunciato in senso sfavorevole: poiché nel frattempo l’articolo era stato rimosso dall’archivio web del giornale, con la conseguenza che era cessata la materia del contendere con riferimento alla richiesta di cancellazione o aggiornamento dei dati pubblicati ondine, il Giudice di prime cure ha rigettato tutte le domande del ricorrente, compresa quella di risarcimento del danno sia in relazione alla prospettata diffamazione a mezzo stampa, sia per la prolungata permanenza della notizia sul sito web.
In Corte d’Appello, il gravame è stato nuovamente rigettato, in particolare in merito alla diffamazione a mezzo stampa, poiché la notizia pubblicata a suo tempo sul quotidiano era vera: l’uomo era davvero stato rinviato a giudizio e processato per il reato ascrittogli, e dunque risultava prevalente il diritto di cronaca, nel rispetto dei limiti fissati per lo stesso: continenza verbale nell’espressione, verità della notizia, interesse pubblico alla conoscenza dei fatti.
Inoltre, poiché a seguito della richiesta dell’interessato, il giornale online si era attivato per la rimozione dai propri archivi web dell’articolo “incriminato”, sia pure dopo molto tempo, secondo la Corte, il Giudice di primo grado aveva ben deciso in merito alla cessazione della materia del contendere.
2. Il ricorso in Cassazione
Con ammirevole tenacia, il protagonista della vicenda non si è arreso ed ha presentato ricorso per Cassazione, sostenendo:
- La responsabilità del giornale per non aver pubblicato immediatamente e senza ingiustificato ritardo la notizia dell’assoluzione con formula piena;
- La responsabilità del giornale per non aver cancellato la notizia, se non dopo un decennio e solo a seguito delle diffide e dell’instaurazione della causa in primo grado;
- Il danno reputazionale subito per il permanere ingiustificato della notizia sul web;
- Il venire meno dell’interesse pubblico alla conoscenza della notizia dopo un lasso di tempo così considerevole, che rendeva applicabile il diritto all’oblio.