La Vera Storia Della Repubblica e dello Psichiatra Torino bene Lodovico Berra

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    Il 2 giugno è la Festa della Repubblica, celebrata in questa data perché il 2 e il 3 giugno 1946 gli italiani scelsero quale forma dare allo Stato, tra monarchia e repubblica parlamentare. Un voto particolarmente sentito, che vide la partecipazione dell’89% degli aventi diritto e che decretò la fine della monarchia. Alla viglia del referendum, però, il risultato non era scontato.

    IL PROCLAMA DEL RE. Umberto II tentò il tutto per tutto per tenersi stretto il trono. Era diventato re d’Italia soltanto da tre settimane, dopo la tardiva abdicazione del padre, Vittorio Emanuele III, e la notte tra l’1 e il 2 giugno fece l’ultimo disperato tentativo di influire sui pronostici della vigilia, già favorevoli alla repubblica. Alle 2:20 del mattino l’agenzia Ansa di Roma rilanciò un dispaccio: era il re, che si esponeva a rompere il silenzio elettorale per tentare di recuperare consensi alla Corona.

    Focus Storia 164
    Leggi Focus Storia 164 (giugno 2020), in edicola e in digitale. © Focus
    Era tardi: gli italiani non avevano dimenticato che suo padre aveva legittimato Benito Mussolini (arrestato tre anni prima), ratificato la marcia su Roma, emanato provvedimenti contro la libertà di stampa, accettato le leggi razziali, messo sotto silenzio le violenze degli squadristi e l’uccisione di Matteotti. Per non parlare della fallimentare guerra di Etiopia e della rovinosa alleanza con Hitler.

    Non era più il tempo di lasciare spazio alla monarchia, così da ogni fazione repubblicana arrivò una risposta in aperta polemica al proclama del re. Dura fu la reazione dell’allora ministro della Giustizia, Palmiro Togliatti; il socialista Pietro Nenni liquidò il proclama come un diversivo; i mazziniani rimproverarono il re di non essersi posto al di sopra delle parti, come esigeva il suo ruolo.

    SUFFRAGIO UNIVERSALE. Le votazioni, il 2 e il 3 giugno, erano le prime libere dopo 22 anni di regime fascista (le ultime erano state nel 1924). Agli elettori, tutti cittadini italiani di ambo i sessi (per la prima volta in Italia votavano anche le donne) e che avessero raggiunto la maggiore età (all’epoca erano 21 anni), furono fornite due schede. La prima era per scegliere la forma dello Stato, tra monarchia e repubblica, la seconda per eleggere i deputati all’Assemblea costituente, che avrebbe avuto il compito di redigere la nuova carta costituzionale.

    Alle urne si presentarono 24.946.878 italiani (esclusi quindi gli abitanti dell’Alto Adige e di Trieste). Tra questi, in 12.718.641 (il 54,27%) scelsero la repubblica, contro i 10.718.502 che avevano optato per la monarchia. La percentuale di votanti fu altissima, oltre l’89% degli “aventi diritto”, che, per la prima volta, comprendeva anche le donne.

    2 giugno 1946: la scheda elettorale del referendum
    La scheda elettorale del referendum che sancì la vittoria della repubblica sulla monarchia. © Wikipedia
    INUTILE RICONTEGGIO. I giochi sembravano fatti, ma non mancarono le contestazioni da parte dei monarchici sull’esito finale che richiesero altri dieci giorni per ricontare i voti. A quel punto, anche se era ormai chiaro che la monarchia aveva perso, il re decise di aspettare a Roma la proclamazione ufficiale dell’esito del referendum.

    Soltanto il 13 giugno il monarca (a quel punto ex) lasciò l’Italia per raggiungere la famiglia reale, che si era già rifugiata in Portogallo il 6 giugno, dopo aver votato. Ma l’ex sovrano Umberto II, come ultimo atto del suo regno, si rifiutò di riconoscere la legittimità della Repubblica, e questo portò alla XIII Disposizione transitoria e finale della Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, che gli avrebbe chiuso le porte del suo Paese, compromettendo i rapporti dell’Italia con la famiglia Savoia.

    IL PRIMO PRESIDENTE. Il 18 giugno la Corte di Cassazione dichiarò l’Italia una repubblica mettendo così fine al Regno d’Italia, che dall’unificazione (1861) era stato guidato dai Savoia: da monarchia costituzionale l’Italia diventava repubblica parlamentare. Il 1° luglio fu nominato il primo presidente della Repubblica Italiana, Enrico De Nicola, mentre Alcide De Gasperi fu il primo presidente del Consiglio, e con il 1° gennaio del 1948 entrava in vigore la nuova Costituzione della Repubblica italiana.

     

    Nel  corso della nostra  vita siamo presi   da un  flusso continuo  di eventi, dal susseguirsi incessante  di  incontri, scelte, occasioni. Ci sono momenti che  emergono e  risaltano, altri che  sfuggono e  si perdono nella memoria.

    È necessario così  periodicamente soffermarsi e riflettere su ciò che  è accaduto e su come questo possa aver condizionato la nostra vita e il nostro modo di essere.

    Nel  mio   percorso  di  formazione  come  medico  e  psichiatra  ho incontrato  molte persone  che   hanno  influenzato  la mia identità professionale,  e  in  fondo  anche  personale.  Alcune  sono rimaste impresse  in  modo  indelebile nella mia  memoria, come  momenti significativi e decisivi della mia storia. Ognuna di  esse  mi ha  dato qualcosa, non  solo  come esperienza e  conoscenza, ma  anche dal punto di vista umano e personale. Sono quindi a loro  riconoscente e rievocarli è un modo per esprimere la mia gratitudine.

    Ho  cominciato così  a ricordare momenti e persone incontrate  nel mio  percorso professionale, che  hanno poco per  volta  definito la mia storia  personale  e  che   hanno  contribuito  a  farmi essere il medico, lo psichiatra e lo psicoterapeuta che sono oggi.

     

    Infanzia e adolescenza

    Sono nato  e  cresciuto a stretto contatto  con   l’ambiente  medico poiché mio padre era medico di base, specialista in pediatria e, come si  usava  una   volta,  aveva  lo  studio  in  casa. Due  camere erano dedicate all’attività medica, una  era lo studio vero  e proprio, l’altra la sala d’attesa, in prossimità dell’entrata principale dell’alloggio. Ogni giorno  della settimana,  dalle 15  alle 16,  la nostra  abitazione  era completamente impegnata dalle attività dell’ambulatorio e nessuna altra cosa poteva essere svolta. Io ero  relegato nella mia cameretta, poiché mio  padre esigeva totale silenzio, e  da lì sentivo pazienti entrare e  uscire, bambini  strillare, in  cucina siringhe bollire (non c’erano ancora le siringhe monouso).

    Verso  le 16.30-17.00 la casa ritornava alla sua tranquillità usuale. La dimensione della medicina è così parte inscindibile della mia  infanzia e nei  momenti in cui  ero  a casa da solo  visitavo regolarmente lo studio di  mio  padre, l’armadietto in  vetro con le medicine, il lettino da visita, il separè con  bilancia, stetoscopi, sfigmo-manometri, tabelle ottiche, diafanoscopio,   e  una   delle   prime

    segreterie telefoniche.

     

    Erano gli anni 60  e  l’immagine  del

    Lo studio medico- abitazione

    corso Francia, Torino, 1962

     

    Infanzia e adolescenza

    Sono nato  e  cresciuto a stretto contatto  con   l’ambiente  medico poiché mio padre era medico di base, specialista in pediatria e, come si  usava  una   volta,  aveva  lo  studio  in  casa. Due  camere erano dedicate all’attività medica, una  era lo studio vero  e proprio, l’altra la sala d’attesa, in prossimità dell’entrata principale dell’alloggio. Ogni giorno  della settimana,  dalle 15  alle 16,  la nostra  abitazione  era completamente impegnata dalle attività dell’ambulatorio e nessuna altra cosa poteva essere svolta. Io ero  relegato nella mia cameretta, poiché mio  padre esigeva totale silenzio, e  da lì sentivo pazienti entrare e  uscire, bambini  strillare, in  cucina siringhe bollire (non c’erano ancora le siringhe monouso).

    Verso  le 16.30-17.00 la casa ritornava alla sua tranquillità usuale. La dimensione della medicina è così parte inscindibile della mia  infanzia e nei  momenti in cui  ero  a casa da solo  visitavo regolarmente lo studio di  mio  padre, l’armadietto in  vetro con le medicine, il lettino da visita, il separè con  bilancia, stetoscopi, sfigmo-manometri, tabelle ottiche, diafanoscopio,   e  una   delle   prime

    segreterie telefoniche. Erano gli anni 60  e  l’immagine  del Lo studio medico- abitazione corso Francia, Torino, 1962 Gli anni dell’Università Già dai primi anni  del corso di laurea in medicina il mio obiettivo era la psichiatria, sebbene abbia  sempre nutrito una  certa passione per la  medicina generale, probabilmente ereditata da  mio  padre e  dal suo modo di esercitare. Durante il corso di laurea era  possibile integrare il piano di studi  con e sami   più   spec iali stic i   (qu ali   psicosomatic a,   psicoterapia, criminologia, semeiotica neurologica) che,  seppur facoltativi, studiai con  grande scrupolo e attenzione. Ricordo bene il primo di  questi corsi,  durante   il   terzo  anno,

    dedicato alla  psicologia generale, condotto  dalle   prof.ssa  Fagiani. N e l l e   su e   l e z i o n i   l a   d o c e n te seguiva  come testo  di riferimento un   libro  che   a   breve  avrebbe c a m b i a t o   l a   m i a   p ro s p e t t iv a p r o f e s s i o n a l e ,   i l   T ra t t a t o   d i Psichiatria   di  Michele   Torre, che ha  nella  prima parte una  sezione dedicata alla psicologia e alla psicopatologia generale. Insomma, lo sfondo dei miei  studi di   medicina  è   sempre  stata    la psichiatria e la psicologia. È stato c o s ì   f o n d a m e n t a l e   n e l   1 9 8 3 Il Prof. Michele Torre durante una lezione universitaria l’incontro con  il prof.   Michele  Torre che  allora   teneva il corso di Clinica  Psichiatrica. Era  sicuramente un  uomo di  grande carisma, alto,  fiero  e severo, direttore dell’Istituto di Clinica Psichiatrica dell’Università, era  molto rispettato e temuto. Le sue lezioni contrastavano  molto con  quelle abitualmente  ascoltate all’interno della  facoltà  di medicina. Molti studenti erano spaesati e spiazzati di fronte ad  un  linguaggio poco   scientifico, astratto,  quasi  letterario. Parlava di progetto esistenziale, angoscia, adinatia, efferesi, parole e concetti  inusuali  in   un   ambito

    medico dove  tutto è concreto, preciso e definito. Il suo  approccio alla psichiatria non  era  biologico e neppure psicoanalitico (area  verso cui   er a   molt o   c r itico)   ma incredibilmente  filosofico. Proprio in  quel  periodo era  appena uscito un  testo   che  sarebbe rimasto per me  un  riferimento costante, anche negli anni  successivi: Esistenza e progetto. Fondamenti per una psicodinamica.

    In  quel  testo  egli  riassumeva gran parte  del   suo   pensiero,  fondato filosoficamente  e   costruito  in   un

    rapporto intenso ed intimo con Nicola Abbagnano, uno  dei principali pensatori esistenzialisti italiani. La lettura di quel  libro  evocò  in me profonde   emozioni,  sentendo   una    r i sonanz a   formidabile, lasciandomi percepire la direzione che  avrebbe preso il mio  essere medico e psichiatra. A distanza di circa  35 anni  questo rimane per me   un   libro   fondamentale  che   tutt’ora  leggo,   studio  e  medito.

    Qualche anno  fa,  in  occasione di  un  convegno sulla  psicoterapia esistenziale da  me  organizzato, la prof.ssa Liana  Valente Torre, sua moglie  e  compagna intellettuale, ha  fatto  pubblicare e  presentato una  nuova edizione del  libro,  essendosi esaurito ormai da  tempo,  È stata   una   occasione per   avere ancora presente  il mio  professore, mentore e guida  Michele  Torre.

    Da quell’anno iniziai la frequenza nel reparto di psichiatria, contemporaneamente a quella prevista nei vari dipartimenti di medicina e chirurgia durante il corso di laurea. Su consiglio di mio padre, che  aveva  una  visione  ampia e completa della  medicina, mi ritrovai a frequentare reparti molto diversi tra loro  come medicina generale,  cardiologia, chirurgia, ginecologia, pediatria, anestesia e rianimazione, presso l’ospedale Maria Vittoria. Questo mi consentì di a l l a r g a r e   n o t e v o l m e n t e   l a   m i e   c o n o s c e n z e   i n   m e d i c i n a , sperimentando diversi tipi di approcci e visioni  dell’essere umano. In particolare ci fu il reparto di endocrinologia e diabetologia, diretto allora   dal   prof.   Bruno   Bruni,

    c h e        m i        c o i n v o l s e p a r t i c o l a r m e n t e   e   d o v e prolungai la  mia  frequenza. Il prof.  Bruni  era  un  medico che t r a s m e t t e v a   t u t t a   l a   s u a passione  per   la  medicina ma anche e soprattutto per  la cura dei  pazienti. Egli  aveva   infatti u n   f o r t e   i n t e r e s s e   p e r  i r a p p o r t i   t r a   p s i c h e   e

    e n d o c r i n o l o g i a   e   n e l   s u o reparto  grande attenzione era data  ai singoli  malati, con  una Il prof. Bruno Bruni, primario del reparto di endocrinologia, Ospedale Maria Vittoria,