L’editoriale del direttore: intanto, altrove

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    Questo non è un giornale di viaggi. Eppure, nei 40 anni della sua storia, ha saputo portare i lettori in giro per il mondo mettendo in pagina, in un certo senso e a modo suo, un antichissimo precetto: che nulla è più sacro dell’ospitalità – da cittadini del Mediterraneo dovremmo sempre tenerne conto. Se uno straniero bussa alla tua porta, gli apri.

    Nel suo universo di case e luoghi e cose, AD per statuto ha aperto e apre porte, facendo il suo piccolo lavoro nel dare qualche chiave di lettura che permetta di capire e apprezzare stili e culture che non sono la nostra: per chi lo vuole, è un garbato invito a uscire da certe rigide convenzioni dell’abitare e prendere spunto dall’altrove – nelle forme e nei modi che suggerisce la propria sensibilità. Come quando torni da un viaggio e porti a casa qualcosa che non avevi previsto. Come quando te ne vai dall’altra parte del mondo, e per qualche misteriosa alchimia del gusto o riflesso della memoria ti senti arrivato a casa.

    In questo numero che mette assieme luoghi lontani, per allargare un po’ lo sguardo dopo tanti mesi di orizzonti chiusi, in faccia al Pacifico o tra i canali di Bangkok, sotto le montagne in Sudafrica o su un’isola al largo del Kenya, c’è una storia che rende particolare giustizia al rapporto tra muoversi e abitare. Racconta il parallelo viaggio in Brasile di due giganti del Novecento, Lina Bo Bardi e Charlotte Perriand, in questi giorni celebrate da mostre e riconoscimenti postumi. Entrambe, ciascuna a modo suo, trovarono infatti in un altro emisfero un terreno fertile (“senza rovine”) in cui raccontare un nuovo concetto di abitare, più sostenibile e rispettoso delle differenze culturali. Come sa fare davvero soltanto chi nella vita ha molto viaggiato.

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