L’industria navale che sfrutta i lavoratori e danneggia l’ambiente. I dati di Shipbreaking Platform

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    Secondo i nuovi dati diffusi dall’ONG Shipbreaking Platform, che da più di 10 anni si batte per il diritto dei lavoratori della demolizione navale a condizioni di lavoro sicure, nel 2022 sono state vendute ai cantieri di demolizione 443 navi commerciali d’alto mare e unità galleggianti offshore.
    Di queste, 292 delle più grandi petroliere, bulker, piattaforme galleggianti e navi da carico sono finite sulle spiagge di Bangladesh, India e Pakistan, pari a oltre l’80% del tonnellaggio lordo smantellato a livello globale.
    Infatti, la maggior parte delle navi, una volta concluso il loro ciclo vitale, vengono smaltite sulle spiagge dell’Asia meridionale, con modalità disastrose per le persone e per l’ambiente.
    L’anno scorso, fa sapere Shipbreaking Platform, almeno 10 lavoratori hanno perso la vita durante la demolizione di imbarcazioni sulla spiaggia di Chattogram, in Bangladesh, e altri 33 sono rimasti gravemente feriti. Fonti locali hanno anche riferito di 3 morti ad Alang, in India, e 3 feriti a Gadani, in Pakistan.
    Alcuni di questi incidenti sono avvenuti a bordo di navi di note compagnie di navigazione, come Berge Bulk, Sinokor e Winson Oil.
    “Stiamo assistendo da troppo tempo a questo scandalo ambientale e dei diritti umani”, ha dichiarato Invgild Jenssen, direttrice e founder di Shipbreaking Platform. “Tutti gli armatori sono consapevoli della terribile situazione dei cantieri e della scarsa capacità di movimentare in sicurezza i numerosi materiali tossici a bordo delle navi. Eppure, la stragrande maggioranza sceglie di demolire la propria flotta nell’Asia meridionale, dove si possono realizzare i profitti più elevati”.
    Inoltre, “le aziende hanno il dovere di eliminare gli impatti negativi che le loro scelte commerciali hanno sull’ambiente e persone. Le navi fuori uso sono rifiuti pericolosi e vengono smontate sulle spiagge soggette a marea: di gran lunga la peggiore pratica industriale”.
    Una triste serie di fotografie del fotoreporter Andrew Biraj pubblicata da Focus mostra “l’inferno di Chittagong”, in Bangladesh, la cui costa è stata trasformata in un centro di smantellamento navale.
    Qui lavorano 30.000 persone, di cui molti minorenni, che vengono quotidianamente in contatto con sostanze pericolose come amianto e sostanze chimiche tossiche rimaste nei serbatoi delle navi.
    Tutto questo per uno stipendio di 20-40 centesimi l’ora, per un totale di 10-11 ore al giorno.

    L’articolo L’industria navale che sfrutta i lavoratori e danneggia l’ambiente. I dati di Shipbreaking Platform proviene da The Map Report.

    Vittorio Rienzo

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