«Lucano è un uomo giusto. Le toghe restino fuori dalla politica»

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    Al termine della sua esperienza a Palazzo San Giacomo, Luigi de Magistris ha già la testa in Calabria, dove corre come governatore, a dieci anni di distanza da Why Not. Al suo fianco avrà Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace e volto simbolo dell’antisalvinismo.

    In passato è stato un magistrato, per molti un giustizialista, oggi sta dalla parte di Mimmo Lucano, imputato a Locri, per il quale la procura ha chiesto una pena pesantissima: 7 anni e 11 mesi. Perché ha deciso di difenderlo?

    Penso di essere stato un magistrato giusto e garantista, che ha applicato i principi costituzionali dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati. E da magistrato ho sempre pensato che la magistratura vada sempre rispettata, ma che nello stesso tempo possa e debba essere criticata. Conosco la Calabria molto bene e ne ho conosciuto il sistema criminale ma anche la sete di giustizia. E Mimmo, per me, ha rappresentato sempre quel volto umano e profondo della Calabria, quel senso di appartenenza alla terra, il desiderio di fratellanza universale. Non ha mai detto di essere un esempio di regolarità amministrativa e di legalità formale, ma quando si pensa di arrestare l’umanità non posso che dirmi in disaccordo. Solo chi non conosce Lucano può pensare che sia un criminale. E in questo momento rappresenta anche, nella sua fisionomia, la grande distanza che c’è tra giustizia e legalità.

    Questo però pone un altro problema: la distanza in alcuni casi delle norme dalla Costituzione. Come si risolve?

    Non è che ogni violazione di legge sia un crimine. Ci sono tanti profili per individuare il reato. Lucano a Riace, nel fare il sindaco, ha trasformato il paese in un luogo senza confini, lo ha aperto al mondo, dimostrando cos’è l’umanità e non posso pensare che meriti una condanna a 7 anni e 11 mesi. Bisogna valutare con serenità se ha commesso degli errori, delle violazioni, ma non può essere considerato un criminale. Su questo credo che bisogna esprimere una parola netta e chiara. Non si è arricchito. Ha coltivato interessi personali? A me pare di no. Sta facendo questo per una visibilità politica? Se avesse voluto si sarebbe potuto candidare alle elezioni europee e sarebbe stato stravotato. Avrebbe avuto l’immunità, ma non lo ha fatto. Adesso ha deciso di aderire al mio progetto perché ci ha visto un ideale di giustizia sociale.

    Recentemente il pm ha portato proprio la sua candidatura come prova del movente politico.

    Bisogna avere rispetto per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, e quindi evitare che questa vicenda diventi elemento di strumentalizzazione in campagna elettorale. Soprattutto nell’interesse dell’imputato Mimmo Lucano: mi auguro si rispetti la sua scelta autonoma, libera e indipendente di candidarsi. Così come bisogna rispettare la magistratura, bisogna rispettare la scelta di Mimmo libera, fuori da ogni condizionamento.

    Il libro di Palamara conferma quanto lei ha più volte sostenuto sulla sua esperienza giudiziaria in Calabria. Lei oggi torna in quella Regione come candidato alla presidenza: cosa si aspetta?

    Una premessa: la magistratura di Salerno aveva già messo a posto la storia, da un punto di vista giudiziario, perché aveva negli anni dimostrato la correttezza del mio operato e dall’altro le interferenze illecite e criminali delle quali ero stato vittima. Palamara è la chiusura del cerchio, la confessione a mezzo libro di colui il quale oggi dice «ho fatto parte del sistema», lo stesso sistema che dieci anni fa fermò Why Not. Bisognerebbe che qualcuno un giorno chiedesse scusa, perché tutto questo ha prodotto danni irreversibili. Quella che mi ha riguardato è stata una delle pagine più buie della magistratura italiana. Ora torno in Calabria con lo stesso amore che ho speso da magistrato. È una missione straordinariamente visionaria, oltre che di concretezza politica: liberare la Calabria da un sistema, in questo caso politico, che ha tenuto sotto scacco un’intera Regione attraverso un controllo spesso malefico della spesa pubblica.

    La crisi della magistratura però sembra arricchirsi di colpi di scena. Come valuta gli ultimi eventi?

    La vicenda dei verbali consegnati dal pm Storari a Davigo è molto torbida e mi auguro che magistrati capaci, autonomi e caparbi verifichino veramente cosa è accaduto. Credo che da un po’ si sia toccato il livello più basso della magistratura. Senza generalizzare, ho la sensazione che non ci si possa più sentire sicuri, come un tempo. Niente più baluardi, punti di riferimento, magistrati inavvicinabili. Il livello di collusione che ho visto all’interno della magistratura in Calabria è impressionante: il timore non veniva dalla strada, veniva dal palazzo. E questo non credo sia venuto meno. Nonostante il caso Palamara molti stanno ancora lì, a ricoprire incarichi apicali. Il cittadino che deve fare? Se il sistema collusivo e corruttivo arriva dal cuore dello Stato rischia di diventare un cancro non curabile se non si agisce in maniera radicale. Ormai non c’è più tanto da temere la mafia che spara per strada, che pure esiste, quello che veramente incute timore è il livello di penetrazione delle mafie e della corruzione dentro la politica, le istituzioni, l’economia. Questo è il tema.

    Il caso Palamara ci insegna che il problema è il sistema di potere, indipendentemente dalla presenza di mafie o massoneria…

    Certo. Quel sistema però ha molto a che vedere con altre forme criminali: c’è un do ut des pacifico. Quindi che ci sia una corruzione professionale, morale, istituzionale, al di là della rilevanza penale, è evidente. Com’è evidente che c’è un sistema tipico di un’associazione per delinquere, quello descritto dall’articolo 2 della legge sulla P2: persone che ricoprono incarichi nelle istituzioni, soprattutto a livelli apicali, prendono decisioni fuori dalle sedi istituzionali e poi le ratificano formalmente nelle sedi istituzionali. Un po’ ciò che è avvenuto in queste faccende. Da ex magistrato dico che non mi interessa tanto la configurazione penale: la lesione istituzionale, etica, morale e deontologica è conclamata.

    Tornando alla politica, cosa accade a Napoli? Gaetano Manfredi l’ha praticamente definita ingovernabile per via del debito. Come giudica il dibattito sulla sua successione?

    Sono false le dichiarazioni di chi imputa un debito all’amministrazione da me guidata. Anzi, abbiamo ereditato una situazione drammatica. Prima che diventassi sindaco i rifiuti arrivavano al primo piano delle abitazioni e abbiamo retto nonostante i continui tagli. Solo Napoli ha avuto in 10 anni un miliardo e 600 milioni di tagli. Davvero mi sorprende che adesso tutti, anche quelli che non hanno fatto nulla per Napoli, scoprano che è difficile fare il sindaco e che c’è un debito che risale al terremoto del 1980 e l’emergenza rifiuti che va in capo proprio al partito di Manfredi e di De Luca.

    In campo c’è anche il suo ex collega Catello Maresca. La sua candidatura col centrodestra ha fatto molto discutere…

    Maresca ha fatto per mesi campagna elettorale con la toga addosso. Ha bruciato quell’apparenza di indipendenza della magistratura di cui parlava Calamandrei e solo adesso, alla fine del tempo utile, si è messo in aspettativa. Senza considerare l’inopportunità di candidarsi nel luogo dove ha esercitato le funzioni di pm, peraltro come titolare di indagini importanti. Trovo inopportuno anche il fatto di non essersi candidato come civico. Le principali bollinature vengono da Salvini, Laboccetta e Berlusconi… credo abbia perso un’occasione.