La casa di queste pagine è una dichiarazione di intenti. Realizzato da uno degli studi messicani di punta, Dellekamp Arquitectos, l’edificio sorge su un declivio, tra le dune, affacciato sul magnifico paesaggio oceanico nella punta più a Sud della Baja California. Un luogo di grande suggestione in cui gli architetti hanno saputo inserire in modo deciso e allo stesso tempo rispettoso una presenza architettonica evidente, leggibile, sostenibile. E, pur presentando evidenti elementi della tradizione, decisamente inusuale.
Per Derek Dellekamp e Jachen Schleich, i suoi progettisti, questa casa è «un rifugio che invita chi lo abita a convivere con le particolari condizioni di un ambiente arido: alte temperature, venti secchi e una peculiare vegetazione endemica»: una casa di vacanza che si fa paesaggio adattandosi alla pendenza del sito con la successione di volumi/capanni aperti alla bellezza del luogo, traslati tra loro e tutti sottolineati da un’ampia copertura a doppia falda in coppi, con la potente struttura a capriate in legno e acciaio brunito a vista.
Distribuiti attorno a una corte centrale sterrata, segnata dalla presenza di un piccolo albero, i quattro padiglioni – con differenti dimensioni e funzioni – si adagiano su altrettante piattaforme, mosse da rari gradoni e realizzate in terra locale dalla meravigliosa colorazione desertica grigio-ocra. Una tecnica ancestrale, quella della terra cruda e battuta, oggi più che mai congruente con una visione sostenibile dell’architettura e che qui diviene protagonista, assieme al legno, anche del sistema strutturale dell’abitazione, conferendo una compatta solidità alla sequenza plastica delle pareti/quinte che sostengono le coperture e definiscono i limiti degli spazi interni. Aprendoli, talvolta, alla bellezza del sito, con speciali vedute verso la piscina e l’oceano.
Un paesaggio che si articola tra verde, percorsi segnati dalla pavimentazione in roccia, corridoi e la matericità dei quattro padiglioni elevati a diverse altezze, a seconda delle funzioni degli spazi contenuti, dalla zona notte a quella giorno, in una continuità di superfici che da terra risale sulle pareti alternandosi a pannelli in doghe di legno, generando un sistema di separazioni e gerarchie di volumi quasi nipponico, in cui il cuore “sociale” della casa è rappresentato dall’ultimo dei quattro volumi, su cui gli altri confluiscono visivamente.
Concepito quasi come un passaggio coperto, questo spazio dilatato e passante ospita la grande cucina scura, la sala da pranzo e il soggiorno. Qui un sistema di pannelli mobili di vetro annulla completamente le lunghe pareti parallele alla costa, permettendo di estendere l’ambiente – grazie anche alla continuità della pavimentazione in terra battuta – verso la piscina e oltre l’orizzonte.
L’inclinazione delle ampie falde dei tetti, come sarebbe piaciuto a Vico Magistretti (che li aveva utilizzati anche in un suo progetto giapponese, casa Tanimoto a Tokyo), determina inoltre un giro naturale di aria fresca, imbrigliando e controllando il vento secco, e disegna un ombreggiamento che, al di là del suggestivo aspetto chiaroscurale sulle superfici e sul contesto, contribuisce anch’esso al controllo dell’irraggiamento luminoso e arricchisce di nuove sfumature il dialogo tra interno ed esterno. Un progetto di rara eleganza, che sintetizza in un linguaggio asciutto modernità assoluta e rispetto delle tradizioni.
Ritrova questo articolo con le fotografie di Nin Solis a pagina 118 di AD di maggio.
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