Orange Fiber: “Delle arance non buttiamo via niente”

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    Dagli scarti delle arance, passando prima dalla filatura e poi dalla tessitura, per arrivare alle passerelle di alta moda. Si chiama Orange Fiber l’azienda che trasforma il pastazzo di agrumi – il residuo composto di bucce, semi e parte della polpa – in abiti preziosi e attenti alla sostenibilità, all’insegna di un processo virtuoso di economia circolare made in Italy.
    É il 2011 quando, due studentesse fuori sede originarie di Catania, che condividono l’affitto di un appartamento a Milano, immaginano per la prima volta quella che presto diventerà la loro azienda: sono Adriana Santanocito, che frequenta l’istituto Afol Moda ed Enrica Arena, laureanda in Cooperazione Internazionale all’Università Cattolica.

    Enrica Arena, CEO & Co-Founder Orange Fiber

    L’idea vera e propria viene da Adriana, specializzanda in Fashion Product Manager, che sta scrivendo una tesi dal titolo “Nuovi scenari e tecnologie sostenibili per prodotti tessili. Orange Fiber”, in cui sviluppa un modo per ricavare cellulosa dal pastazzo degli agrumi, rifiuto alla cui gestione è addirittura dedicata una parte dell’articolo 41 del Decreto del Fare 2013 (D.L. 69/2013): “Disciplina dell’utilizzo del pastazzo”.
    Adriana chiede ad Enrica di curare la strategia di comunicazione e nel 2013, con la collaborazione del laboratorio di Chimica dei Materiali Politecnico di Milano, viene brevettato l’innovativo processo che permette di recuperare, potenzialmente, le oltre 700.000 tonnellate di sottoprodotto che l’industria di trasformazione agrumicola produce ogni anno in Italia, e il cui costo di smaltimento equivale a circa 30 euro a tonnellata.

    Così, nel 2014 viene costituita Orange Fiber, la prima azienda al mondo a produrre tessuti sostenibili dagli scarti delle arance. Nel giro di qualche tempo arrivano le partnership con i grandi nomi della moda: l’esclusiva capsule collection firmata Marella, composta da cravatte, pochette da taschino e foulard sostenibili; la Ferragamo Orange Fiber Collection, presentata nel 2017 in occasione della Giornata della Terra; la linea Conscious Exclusive di H&M, il cui capo realizzato con tessuto Orange Fiber è sold out in poche ore.
    Della storia e dell’evoluzione dell’azienda, abbiamo parlato con Enrica, oggi CEO di Orange Fiber.
    Cominciamo da te. Qual è stato il tuo percorso di formazione professionale?
    «Ho iniziato con un percorso improntato alla cooperazione internazionale, intesa come no profit nel senso più tradizionale. Dopo il master in Cattolica, sono andata in Egitto per un periodo di traineeship. Lì, tra gli eventi che organizzavo con le Nazioni Unite, ce n’era uno sul global compact, sul rapporto, cioè, tra imprese private e obiettivi di interesse pubblico. In particolare, c’era un focus sulla responsabilità sociale d’impresa e su come le aziende possono contribuire a includere, non solo nella loro offerta di prodotti, ma anche nel modo in cui fanno business, categorie che normalmente sarebbero escluse, e avere così un impatto positivo. Incuriosita, ho iniziato ad approfondire questo mondo e, nel frattempo, sono tornata in Italia, a Milano, dove mi sono ritrovata a dividere la casa con la mia coinquilina Adriana, l’ideatrice di Orange Fiber. In quel periodo lei studiava moda all’Afol e mi chiese se potevo darle una mano a comunicare l’idea che aveva avuto e che voleva portare avanti. Così ha avuto inizio il mio coinvolgimento a supporto dell’iniziativa, per diventarne in seguito l’amministratore unico, dal 2019 in poi».
    Avrei giurato che dietro Orange Fiber si celasse un chimico o qualcuno specializzato in materie affini…
    «Nel corso di moda i materiali hanno un ruolo importante e, di conseguenza, anche il percorso di produzione delle fibre che c’è dietro. Facendo ricerche sulle fibre che hanno un’origine innovativa rispetto a quelle tradizionali (come il cotone o il poliestere), Adriana ha approfondito il tema delle fibre che vengono dalla cellulosa, arrivando a ipotizzare che si potesse ottenere cellulosa anche a partire dalle arance, per ricavarne poi un tessuto. Le arance raccontano la nostra storia, perché siamo entrambe siciliane. E il nostro intento era proprio quello di rivelare una storia diversa del Mediterraneo, che mettesse al centro l’innovazione, a partire prodotto che viene riconosciuto come simbolo della Sicilia».
    Qual è stato il vostro trampolino di lancio? La partnership con Ferragamo?
    «In una prima fase il ruolo più importante lo hanno avuto i percorsi di incubazione d’impresa che abbiamo frequentato, tra il 2012 e il 2014, ci hanno aiutate a fare il salto dall’avere un’idea a trasformarla in piano di business concreto, per subentrare poi nell’ottica di diventare imprenditrici. All’inizio, frequentare l’ecosistema, che all’epoca era ancora giovanissimo e molto più concentrato sul digitale che non sull’innovazione dei materiali e dei prodotti, è stato un un passaggio fondamentale. Nel 2014, poi, siamo riuscite ad ottenere la prima finanza pubblica sia da Trentino Sviluppo che da Smart&Start, attirando anche i nostri primi investitori privati. Lo step successivo, qualche mese dopo, è stato quello di presentare il primo campione di tessuto ad Expo 2015, dove c’era un contesto molto favorevole di discussione intorno ai temi del riuso delle risorse, sia a livello nazionale che internazionale. Contemporaneamente, è nato anche il primo contatto con Ferragamo. Poi, nel 2016, abbiamo partecipato a un premio della fondazione H&M e, piano piano, nel corso del tempo abbiamo raffinato sempre di più l’interesse e la partecipazione solo a quelle iniziative che sono veramente vicine allo spirito di Orange Fiber».
    A proposito di H&M, in cosa è consistita la vostra collaborazione?
    «I nostri prodotti sono stati inseriti nel 2019 nella collezione H&M Conscious Exclusive, che viene lanciata una volta all’anno, in parallelo alla collezione Conscious che, invece, è sempre presente e contiene materiali disponibili sul mercato, come cotone organico, poliestere, eccetera. Mentre nella Conscious Exclusive, H&M presenta dei materiali non ancora commercialmente pronti, facendo da portavoce. Li inserisce nella collezione e osserva come reagisce il mercato».

    Come appaiono i tessuti Orange Fiber?
    «La nostra fibra si comporta come una fibra Tencel tradizionale (il tencel è un tipo di tessuto ecologico prodotto a partire da alberi di eucalipto, NdR)».
    Quali sono stati i primi prototipi? É stato difficile realizzarli?
    «Si, è stato difficile. In primo luogo perché abbiamo a che fare con partner di filiera di taglia industriale. Questi impianti girano infatti su quantità di centinaia di tonnellate, laddove noi, invece, ne produciamo una al mese. Abbiamo dovuto, da una parte, individuare delle aziende che avessero un macchinario al loro interno per cominciare a fare i prototipi e che avessero anche voglia e interesse a farlo con noi. Comunque alla fine ce l’abbiamo fatta e abbiamo portato a termine il primo prototipo: il filo è stato realizzato in Spagna, mentre il tessuto nel comasco, con un partner con cui ancora lavoriamo».
    Com’è stato vedere sul mercato un prodotto che prima avevate solo immaginato?
    «Uno dei momenti più emozionanti è stato quando abbiamo visto il primo tessuto con la stampa Ferragamo. Ci siamo rese conto che, non solo eravamo riuscite a creare il materiale, ma che tutto stava andando nella direzione giusta».
    Riuscite a posizionarvi in modo competitivo rispetto ad altri prodotti, quelli made in China per esempio?
    «Indipendentemente dalla provenienza dei prodotti, il tema per noi è la capacità produttiva. Con questo intendo che, producendo una tonnellata di fibra al mese, i costi da sostenere sono molto alti rispetto a qualsiasi altro prodotto. In un contesto di grandissima incertezza a livello internazionale, siamo convinti che avere una filiera interamente europea, al 90% italiana, per quanto cara, sia comunque una scelta vincente, non solo dal punto di vista della sostenibilità e della trasparenza, ma anche per poter rassicurare i nostri clienti rispetto alla capacità di rispettare i tempi.
    In questo momento tutta la nostra filiera risponde alla normativa europea, poiché produciamo il 90% in Italia e un piccolo pezzo in Austria. In questo modo anche la logistica è ridotta al minimo».

    E i laboratori Orange Fiber dove si trovano?
    «Attualmente i nostri impianti si trovano solo in Sicilia, a Piano Tavola, che è nella zona industriale di Catania, vicino Misterbianco».
    Le arance devono essere necessariamente siciliane?
    «É preferibile. Innanzitutto, perché nasciamo proprio con l’idea di risolvere il problema dello smaltimento di questi scarti e poi, ovviamente, per una questione di costi legati alla logistica: più vicino è, meglio è per noi».
    E gli scarti delle arance dove li recuperate?
    «Lavoriamo con aziende che realizzano spremute, e che si trovano, per la maggior parte, in Sicilia».
    Quindi, quando fai una spremuta in casa non conservi gli avanzi?
    «No – sorride – me ne guardo bene!».

    L’articolo Orange Fiber: “Delle arance non buttiamo via niente” proviene da The Map Report.

    Vito Califano

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