Trentacinque anni fa l’attentato alla Sinagoga di Roma che cambiò la storia

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Il 9 ottobre 1982 gli ebrei vennero colpiti da un commando di terroristi palestinesi con granate e colpi di mitragliatrici: morì un bimbo di due anni e 40 persone rimasero ferite.

Era un sabato, un giorno di festa. Il 9 ottobre 1982, dopo la benedizione dei bambini, alle 11.55 gli ebrei che uscirono dalla Sinagoga di Roma vennero colpiti da un commando di terroristi palestinesi con granate e colpi di mitragliatrici: questi uccisero un bambino di due anni, Stefano Gaj Tachè, e quaranta persone rimasero ferite. A trentacinque anni dall’attentato, davanti alla Sinagoga, nel Largo intitolato alla memoria del piccolo Stefano, si sono riuniti i cittadini romani, assieme alla Comunità Ebraica, per ricordare quel giorno che cambiò la storia e il destino di molte persone. La Sindaca Virginia Raggi (nella foto in basso) ha deposto una corona sulla lapide, e ha incontrato i ragazzi delle scuole romane per ricordare l’attentato.

 

Il messaggio del Presidente Mattarella

«Un atto spregevole, contro la vita, contro la libertà, contro la religione, contro la convivenza. Fu un gesto vile contro la città di Roma, simbolo di tolleranza e di accoglienza, e contro l’intera Italia. Fu un crimine contro l’umanità». Con queste parole il Presidente Sergio Mattarella ha ricordato l’attentato in un messaggio inviato alla comunità ebraica. Fu proprio il Capo della Stato a ricordare il piccolo Stefano nel suo discorso di insediamento, a scegliere nella sua storia il simbolo delle vittime dell’odio. «Il ricordo di quel sanguinoso 9 ottobre – continua il Presidente nel messaggio – non si attenua con il passare degli anni, ma rafforza – in un momento in cui ci troviamo a fronteggiare nuove sfide di terrorismo integralista – la nostra comune volontà di combattere e sconfiggere chi, in nome dell’intolleranza, vuole aggredire la convivenza contro ogni regola di civiltà e di umanità».

Ieri e oggi

Attualizzare la memoria per trasmetterla ai giovani «nel ricordo di chi è rimasto vittima di azioni terroristiche. Lo dobbiamo anche alla nostra democrazia, bene inestimabile che dobbiamo difendere soprattutto in un momento storico che vede le nostre democrazie opporsi al terrorismo integralista». Lo ha detto la Sindaca Raggi rivolgendosi ai ragazzi durante la commemorazione alla scuola ebraica, a cui hanno partecipato alcune scuole romane assieme alle istituzioni. «L’attentato fu uno spartiacque. Prima abbiamo vissuto in isolamento, in un crescendo di ostilità mediatica, poi abbiamo assistito inermi a quello scempio. Se ora c’è un’Europa insanguinata dal terrorismo, è anche perché prima c’è stata indifferenza, perché non si capì a fondo cosa era successo». Così il Rabbino Capo Riccardo Di Segni ha descritto l’atmosfera che precedette l’attentato, un periodo costellato di atti antisemiti e indifferenza di cui il 9 ottobre dell’82 fu il tragico epilogo.

 

ANSA

 

Una ferita ancora aperta

«È doloroso raccontare una storia che nei libri di storia non c’è. – ha detto la presidente della comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello – Sono ancora troppi gli interrogativi su cosa successe davvero. I colpevoli furono individuati ma mai perseguiti. Vorremmo finalmente dopo tutti questi anni conoscere la verità e chiamare ciò che ci colpì con il suo vero nome, ovvero “terrorismo palestinese”, è ora di finirla con i tabù. Se alcuni vertici delle istituzioni dissero che ci sono delle responsabilità “italiane” in gioco, perché non indagare? Bisogna fare chiarezza, lo diciamo come cittadini italiani, soprattutto in un momento in cui il terrorismo colpisce la nostra Europa». All’incontro c’erano anche l’Ambasciatore d’Israele Ofer Sachs, la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Noemi Di Segni e il segretario generale della Grande Moschea di Roma Abdellah Redouane. A portare la sua testimonianza è stato Gadiel Tachè, il fratello di Stefano che rimase gravemente ferito nell’attentato, aveva solo 4 anni. Gadiel per lunghi anni non ha mai voluto parlare di quel 9 ottobre: «Ho iniziato a parlarne nel 2011, quando conobbi dei ragazzi che non sapevano nulla dell’attentato e sentii il dovere di condividere la mia testimonianza con i giovani – ha spiegato Gadiel – Capii che nessuno poteva farlo al mio posto. Il ricordo di mio fratello è sempre con me, ogni giorno. La mattina quando mi alzo, la sera quando vado a dormire. Non se ne esce mai, anche se ho imparato a conviverci. E questo grazie alla mia famiglia e alla musica, che mi ha aiutato a vivere. Ho scritto anni fa una canzone per mio fratello, si chiama “Little Angel”».

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