In lista per diventare paesaggio culturale del patrimonio universale Unesco, la Sardegna si presenta come un “museo a cielo aperto”. Terra di grande fascino, misteriosa, definita da De Andrè, come il paradiso terrestre, l’isola italiana ospita, oltre al mare cristallino e alle spiagge paradisiache, un lato segreto, mistico. Da sempre casa di pozzi sacri, antiche dimore e tombe monumentali, questo lato dell’isola è sempre rimasto nascosto, ma oggi diventa protagonista della candidatura dell’isola a Patrimonio dell’Unesco.
Lo scopo è quello di valorizzare il patrimonio storico e culturale della Sardegna, soffermando l’attenzione sull’unicità, e sul valore, della cultura sarda, rafforzandone il riconoscimento archeologico e storico. Parliamo di architetture e resti archeologici risalenti a epoche lontanissime, ma che ancora oggi sono fonte di ispirazione per artisti e architetti. Le forme e la morfologia di questi siti archeologici sembrano così attuali da poter essere scambiati per interventi di Land Art o di arte contemporanea site-specific.
Ecco quattro tipologie di resti che possiamo incontrare percorrendo l’isola e che meritano di essere raccontati.
Le Domus de Janas
Letteralmente “case delle fate”. Si tratta di resti neolitici che fungevano da tombe e da dimore per la sepoltura dei defunti. I cunicoli che venivano scavati all’interno delle montagne granitiche creavano dei percorsi a reticolo, dando luogo a delle città ipogee.
Le tombe scavate nelle rocce e distribuite su tutta l’isola risalgono a più di 5000 anni fa e raccontano antiche tradizioni e leggende risalenti alla civiltà preistorica Sarda. La leggenda narra che le Janas – piccole donne metà fate e metà streghe, a volte gentili, altre demoniache – abitassero le montagne all’interno di buchi scavati nella roccia, dove effettuavano delle vere e proprie magie.
Secondo la tradizione invece, le Domus de Janas furono costruite come sepolture per ricongiungere i defunti con la Dea Mediterranea, madre dell’isola sarda. Oggi queste tombe sono in parte visitabili e a prima vista sembrano alveoli magici scavati all’interno della roccia.
I Nuraghi e i pozzi magici
Se i Nuraghi, costruzioni in pietra a forma conica, distribuiti da Nord a Sud per tutta l’isola, sono conosciuti e fonte di interesse archeologico e storico, meno noti sono invece i pozzi ipogei che accompagnano queste costruzioni monumentali. Architetture complesse, interamente scavate nel terreno e a forma a cono tagliato, sono principalmente costituiti da una scala geometrica che conduce a un pozzo ipogeo.
L’unica fonte di illuminazione è lo stesso accesso al pozzo, solitamente triangolare, come è ben riscontrabile nel pozzo di Santa Cristina, quello meglio conservato di tutta l’isola. Lo scopo di queste architettura era di compiere rituali e preghiere legati all’acqua e alle divinità del cielo.
Secondo alcune fonti, questi pozzi venivano utilizzati per studiare i cambiamenti della luce solare e lunare attraverso esperimenti astronomici: pare che la luna, ogni diciotto anni e mezzo, illumini perfettamente il centro del pozzo ipogeo, così come il sole, illumini perfettamente i gradini che conducono al pozzo durante ogni equinozio, creando disegni e giochi di ombre.
Sembra quasi di raccontare gli interventi che gli artisti di Land Art hanno compiuto, negli anni Sessanta, nei deserti americani. Sembra quasi di sentir parlare di James Turrel e della contemplazione della volta celeste, dal cratere del suo vulcano. Forse è proprio dal passato che ogni volta, possiamo trarre ispirazione.
Tombe dei Giganti
Si tratta di veri e propri monumenti di pietra che si collocano come dei pilastri sul paesaggio dell’entroterra Sardo. A prima vista richiamano i complessi sacri del nord Europa. Enormi pietre collocate secondo un rituale preciso, e destinate a re e famiglie nobili.
Definite anticamente come degli ossari, il termine “giganti” è stato introdotto proprio per sottolineare il ritrovamento delle ossa dei defunti, ideologicamente identificate come i resti dei pasti di orchi e giganti. Architettonicamente possiedono una struttura ben definita, un ingresso a mezza luna, e una tolos, cuore dell’impianto.
Queste enormi sepolture, venivano realizzate e consacrate in onore di antiche divinità, una femminile e una maschile, che rappresentavano la duplice essenza della natura.
Monte d’Accoddi
Questo monte è un tempio, anzi un santuario naturale. Collocato a nord-ovest dell’Isola, si identifica come l’unica ziguratt del mondo Occidentale, costruita addirittura 1600 anni prima degli insediamenti nuragici. Alta circa 40 m, questa struttura, in pietra granitica sfida la forza di gravità e si compone di tre livelli che conducono alla sommità, oggi erosa dal vento.
La composizione richiama la forma di una scala protratta verso il cielo e il paesaggio circostante, probabilmente luogo mistico destinato a un oracolo. Sono evidenti le contaminazioni e le connessioni con le ziggurat oltre oceano, ma ancora oggi non è chiaro da dove derivino questi interventi, a metà fra architettura e natura, sospesi fra il cielo e la terra.