Modena, Roberto Della Rocca al San Carlo: ritorno e pentimento nella tradizione ebraica

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Modena, 14 marzo 2023 – Appuntamento oggi pomeriggio alle 17.30, alla Fondazione San Carlo a Modena, con Roberto Della Rocca, direttore Dipartimento Educazione e Cultura – UCEI Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Roma. Nell’ambito della rassegna del Centro studi religiosi, ‘Gli animali nelle tradizioni religiose. Rappresentazioni, simboli e culti tra sacro e profano’, Rav Della Rocca presenterà ‘Giona nel ventre della Balena. Ritorno e pentimento nella tradizione ebraica’.

Qual è il tema al centro della sua conferenza?
“Il tema è quello del libro biblico di Giona è il quinto della serie dei dodici profeti minori. Un libro unico nel suo genere, non solo per la sua brevità – è infatti composto di soli 48 versi – ma anche perché, diversamente da altri libri profetici in cui sono riportate le parole dei Neviim, il libro di Giona è incentrato sul racconto di un’avventura e sulle vicende di un protagonista, quasi come in un romanzo. Eppure, proprio questa storia, assurta ad esempio di linguaggio simbolico e universale, è divenuta il libro della Teshuvah – pentimento, ritorno, risposta – per antonomasia tanto da essere letta ogni anno nel Giorno del digiuno del Kippur, il Giorno del Perdono”.
Cosa rappresenta?
“Oltre a rappresentare il valore della teshuvah, del pentimento, sia individuale che collettiva, un importante messaggio di questo libro è che la provvidenza e la benevolenza divina si esercitano su tutta l’umanità, non solo sul popolo d’Israele. Giona era forse restio ad accettare questa idea, o forse non voleva che dei malvagi venissero perdonati solo grazie a qualche giorno di digiuno, ma la Bibbia qui ci dice chiaramente che il Giudice Supremo giudica a volte diversamente da come noi penseremmo debba fare. ‘I Miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le Mie, dice il Signore’ (Isaia 55:8). Il Misericordioso ha a cuore tutta l’umanità e i Suoi criteri di giudizio non sono i nostri. Un altro importante insegnamento è che non solo la benevolenza dell’Eterno si rivolge agli uomini, ma anche agli animali. A ben leggere, la presenza degli animali in questo libro è ricorrente più volte, a partire dallo stesso nome del profeta e del libro: Yonà, infatti, in ebraico vuol dire colomba. Troviamo poi, al cap. 2, il ‘grande pesce’. Al cap. 3:7-8 si dice che il re di Ninive comandò che, oltre agli uomini, anche “gli animali, bestiame grosso e minuto non avrebbero dovuto assaggiare nulla né bere acqua e che sia uomini sia animali si sarebbero dovuti ricoprire di sacco’. Al cap. 4 si riferisce poi di un piccolo verme che rose la pianta di ricino che faceva ombra a Giona. E per finire, l’ultimo verso del libro, ci dice che così l’Eterno replicò a Giona che si lamentava del ricino seccatosi: “Non dovrei, Io, aver pietà di Ninive la grande città, contenente più di centoventimila persone, che non sanno distinguere la loro destra dalla sinistra, e animali in gran numero?’ (cap. 4:11)”.
Perché ha scelto il libro di Giona?
“Giona è un personaggio straordinario e unico nel suo genere. Non può fare a meno di ascoltare la voce dell’Eterno, egli diviene così un profeta. Egli è dunque un profeta involontario e forse per questo, sebbene sappia che cosa gli è stato chiesto di fare, cerca di sottrarsi al comando del Creatore; o in un’interpretazione in chiave psicologica, cerca di sottrarsi alla voce della sua coscienza. La storia è narrata come se gli avvenimenti fossero realmente accaduti, ma il linguaggio usato va invece letto in chiave simbolica e tutto ciò che capita a Giona è in realtà una rappresentazione delle sue esperienze interiori. Possiamo leggere una catena di simboli che si susseguono uno dopo l’altro: salire sulla nave, scendere nel ventre di essa, cadere addormentato, trovarsi in mare aperto e infine nel ventre del pesce. Tutte queste situazioni ci raccontano la medesima esperienza interiore, la condizione di trovarsi protetto, isolato e distaccato da ogni possibilità comunicativa con gli altri esseri umani. Sebbene il ventre della nave, il sonno profondo, il mare e il ventre del pesce siano nella realtà diversi l’uno dall’altro, essi sono comunque espressioni della medesima esperienza interiore, cioè della fusione dei concetti di fuga e di isolamento”.
Che logica è seguita?
“Tutti gli avvenimenti, sebbene alcuni siano ovviamente irreali, seguono una loro coerenza logica in termini di tempo e di spazio. Ma se riusciamo a comprendere che la Bibbia non intende raccontarci una storia di fatti reali bensì la storia di un’esperienza psicologica e religiosa di un uomo paradigmatico combattuto fra la sua coscienza, la sua voce interiore e il desiderio di sottrarsi al richiamo dell’Eterno, diviene chiaro che il susseguirsi delle varie azioni esprime un identico stato d’animo del protagonista e che la successione temporale dei fatti è volta ad imprimere una crescente intensità del medesimo sentimento. Le resistenze opposte dai profeti di Israele alla chiamata divina non sono infrequenti nella Bibbia, basti ricordare Mosè, Geremia, Elia: anche nei loro rifiuti e nei loro impedimenti si può rilevare il carattere “antieroico” dei personaggi biblici che ci vengono presentati con tutte le loro angosce e debolezze. Giona tuttavia rimane un caso anomalo: egli è infatti il primo e l’unico a rifiutare la propria missione, non soltanto con le parole ma anche con i fatti: fuggendo dal paese. Nessuno prima di lui aveva mai osato pensare di potere fuggire dal cospetto dell’Onnipotente. Invece di rispondere alla Voce con la voce, Giona sceglie di rifugiarsi nel silenzio. Ciò che Giona tenta di far accettare a Dio, rifiutando la vocazione con il silenzio, è in primo luogo la sua ferma decisione di rimanere libero, di non uscire dall’anonimato umano per lasciarsi aggiogare a un compito profetico, di non lasciarsi prendere nella ‘trappola’ dell’Eterno”.
Che valore hanno ritorno e pentimento nella tradizione ebraica?
“Nessuno, questo è il messaggio finale del libro, può aver peccato tanto da non potere ottenere, se sinceramente pentito, il perdono dell’Eterno. La Teshuvah, il pentimento/ritorno, accredita dunque il perdono, che diventa lo sbocco naturale dello sforzo umano – il ritorno – per ripartire di nuovo, come in una corsa in cui venisse proiettato all’indietro. La Teshuvah è riparazione in quanto è re-inizio. Tuttavia la Teshuvah è più che un procedimento della vita interiore, fare Teshuvah non consiste solo nell’operare un cambiamento in noi stessi, ma è un tentativo di riscrivere la storia: riscrivo la mia storia personale, ovviamente, ma al tempo stesso anche quella del mondo che mi circonda. La Teshuvah è un atto di coscienza, di consapevolezza e di disponibilità a prendere posizione e assumersi le proprie responsabilità per il futuro. Il passato non può essere modificato, ma in compenso ci è dato il potere di plasmare il futuro. Molto ancora dipende da noi, possiamo sconfiggere il destino esaltando la libera scelta. E’ questa la medesima lezione che, alle porte della città di Ninive, salvata dal pentimento dei suoi abitanti, l’Eterno impartisce a Giona, il cui animo bramava certezze assolute e assiomatiche. Nulla è scritto, nulla è sigillato: la stessa volontà del Creatore può cambiare. Anche se la punizione è stata stabilita, può sempre venire annullata. Nessun peccato originale! A ogni essere umano è concessa un’altra possibilità di cominciare da capo la propria vita. Così come l’Eterno ha il potere di cominciare, l’uomo ha il potere di continuare ricominciando ogni volta da capo. Ecco perché noi ebrei dobbiamo ripetere la storia di Giona, anno dopo anno, di generazione in generazione, nel giorno di Kippur”.

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